GIOVANNI TRUNCELLITO DOLCE E CALMO - click to enlarge
testo di

Antonio Miredi








IL SOGNO DELLA FORMA IN GIOVANNI TRUNCELLITO


Tra suggestioni anacronistiche e citazioniste, il sogno neoclassico, nella sua chiave postmoderna, in Giovanni Truncellito si manifesta come sogno della Forma.
A ben guardare, il neoclassicismo rivisitato non è da intendersi nel suo senso critico-storico; e infatti i modelli che confluiscono nella pittura dell'artista sono sia cinquecenteschi (per lo più manieristici) che, appunto, neoclassici, ma anche arcadici, romantici.
Modelli che confluiscono in modo coerente ed armonioso in una visione della Forma da rintracciarsi nel mondo dell'immaginario individuale e di un inconscio collettivo.
Il concetto di Forma ha avuto nel corso del dibattito estetico tutta una serie di diverse considerazioni ma rispettando un suo nucleo più originario che la collega a una estrinsecazione di un contenuto interiore.
In epoca manieristica già il Varchi aveva occasione di scrivere: "Quella bellezza che noi diciamo grazia non nasce dai corpi e dalla materia, ma dalla "forma" che tutte le perfezioni che in lei si trovano".
Un'idea di forma che non si fa catturare in modo esclusivo e superficiale dalla figurazione ha trovato in Truncellito un fedele e persino assoluto cantore: la sua interiorità infatti si è ammantata di ogni rito e mistero dei giardini e delle città del mito.
Il sogno della forma è dunque, ancora una volta, il sogno del mito, dei suoi eroi e divinità, dei suoi motivi e dei suoi temi, dei suoi intrighi e delle sue rivelazioni.
Il mito, certo, permette anche una visione apparentemente fuori dal tempo, tanto da permettere quelle possibili "fughe" da un presente che non riesce più a colmare e risolvere lo scarto tra sogno e realtà; e tuttavia le fughe sono anche teatrali, oserei dire persino scenografiche, melodrammatiche.
C'è in questo un evidente antinaturalismo che esalta l'artificio creativo attraverso una corona di segreta regalità che l'artista trasmette ai personaggi e alle divinità che ama e custodisce nella sua memoria.
Anche la contemporaneità ha pur sempre le sue divinità ( i suoi divi e le sue dive) e, del resto, l'investitura di questa regalità ( l'aura di una rinnovata sacralità ) ha il suo ultimo legittimo esito nella autodonazione.
E' quanto avviene nel teatro delle visioni di Truncellito, in cui l'autoconsapevolezza di una mirabilità che si espande in mirabilia, squarcia l'oscuro problematico e terribile fondo dionisiaco del mito, per ergersi apollinea potenza in grado di essere apparente equilibrio figurativo.

Antonio Miredi

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