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IL SOGNO DELLA FORMA IN GIOVANNI TRUNCELLITO
Tra suggestioni anacronistiche e citazioniste, il sogno neoclassico, nella sua chiave
postmoderna, in Giovanni Truncellito si manifesta come sogno della Forma.
A ben guardare, il neoclassicismo rivisitato non è da intendersi nel suo senso
critico-storico; e infatti i modelli che confluiscono nella pittura dell'artista sono sia
cinquecenteschi (per lo più manieristici) che, appunto, neoclassici, ma anche arcadici,
romantici.
Modelli che confluiscono in modo coerente ed armonioso in una visione della Forma da
rintracciarsi nel mondo dell'immaginario individuale e di un inconscio collettivo.
Il concetto di Forma ha avuto nel corso del dibattito estetico tutta una serie di diverse
considerazioni ma rispettando un suo nucleo più originario che la collega a una
estrinsecazione di un contenuto interiore.
In epoca manieristica già il Varchi aveva occasione di scrivere: "Quella bellezza
che noi diciamo grazia non nasce dai corpi e dalla materia, ma dalla "forma" che
tutte le perfezioni che in lei si trovano".
Un'idea di forma che non si fa catturare in modo esclusivo e superficiale dalla
figurazione ha trovato in Truncellito un fedele e persino assoluto cantore: la sua
interiorità infatti si è ammantata di ogni rito e mistero dei giardini e delle città
del mito.
Il sogno della forma è dunque, ancora una volta, il sogno del mito, dei suoi eroi e
divinità, dei suoi motivi e dei suoi temi, dei suoi intrighi e delle sue rivelazioni.
Il mito, certo, permette anche una visione apparentemente fuori dal tempo, tanto da
permettere quelle possibili "fughe" da un presente che non riesce più a colmare
e risolvere lo scarto tra sogno e realtà; e tuttavia le fughe sono anche teatrali, oserei
dire persino scenografiche, melodrammatiche.
C'è in questo un evidente antinaturalismo che esalta l'artificio creativo attraverso una
corona di segreta regalità che l'artista trasmette ai personaggi e alle divinità che ama
e custodisce nella sua memoria.
Anche la contemporaneità ha pur sempre le sue divinità ( i suoi divi e le sue dive) e,
del resto, l'investitura di questa regalità ( l'aura di una rinnovata sacralità ) ha il
suo ultimo legittimo esito nella autodonazione.
E' quanto avviene nel teatro delle visioni di Truncellito, in cui l'autoconsapevolezza di
una mirabilità che si espande in mirabilia, squarcia l'oscuro problematico e terribile
fondo dionisiaco del mito, per ergersi apollinea potenza in grado di essere apparente
equilibrio figurativo.
Antonio Miredi
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