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La pittura di Giovanni Truncellito ci
introduce in un singolarissimo contesto neosimbolista, che ha pure il merito di farci
interrogare sul ruolo e lo spazio operativo che il Simbolismo occupa nell'arte
contemporanea.
Ora, che le cose stessero in modo diverso, e anche molto diverso, da come un po' tutti
ritenevano anche soltanto un quindicennio addietro, vale a dire che il repertorio
simbolista fosse, in sostanza, un approdo conclusivo, e in effetti concluso, dei linguaggi
e delle attitudini estetiche, lo attesta, con evidenza e con intensità crescente,
l'interesse attivato sia a livello di ricerca storica che di esperienze operative,
riguardanti - queste ultime - soprattutto e significativamente artisti giovani e
giovanissimi.
La grande mostra veneziana di un paio di anni addietro, dedicata a Puvis de Chavannes,
rivelando l'importanza eccezionale che questo artista aveva esercitato su molti
"padri della modernità", ha posto un' ideale sanzione a questa nuova
prospettiva critica.
Ma - appunto - si trattava ancora di un pur fondamentale discorso di ambito storiografico.
Truncellito è uno di quegli artisti (per nulla isolati) che traggono dal terreno del
Simbolismo alimento per il proprio discorso, e quindi lo innestano nel terreno palpitante
dell'attualità.
Per Truncellito il mito classico, ma anche le mitologie contemporanee (penso al ruolo che
nei suoi quadri - di lui appassionato di musica - ha rivestito la figura di Maria Callas,
oltretutto ideale ma concreto tramite con l'Ellade della classicità) assumono un ruolo
centrale.
Dei (Pan), eroi (Guerriero Rosso), personaggi mitologici (Orfeo, Ganimede, Medea,
Alceste), l'Ellade e la Magna Grecia (lo Jonio, Sibari, Crotone), sono nei suoi quadri
presenze vive e, seppure filtrate attraverso lo schermo della grande letteratura classica,
non costituiscono mai presenze di pretesto o di occasione letteraria.
Quali possono essere considerati dei referenti pittorici di Truncellito? Böcklin, certo,
come attesta esplicitamente il soggetto e il titolo di un quadro: Risveglio (Aurora a
Villa Böcklin) . Ancora più esplicitamente Gustave Moreau e colui che può di
quest'ultimo considerarsi l'allievo più stimolante, ovvero - come è già stato rilevato
- Odilon Redon. E non il Redon nero, il più noto, quello delle litografie e dei
carboncini, anticipatore affascinante e al tempo stesso inquietante, del repertorio
surreale, e neppure quello dei ritratti, contraddistinti da una misura e da un controllo
compositivo che sembrano rinviare a Dégas, ma il pittore di improvvise, incandescenti
deflagrazioni cromatiche.
Direi, anzi, che proprio le deflagrazioni cromatiche, fattesi in lui esasperate, vere
piogge di oro rutilante - che nei quadri di Truncellito hanno il compito di marcare lo
stacco tra la dimensione altra del mito e quella dell'ordinario ritmo della realtà
fenomenica - costituisce la caratteristica forse più singolare, la cifra più personale
dell'artista romano.
Ma, del bagaglio pittorico di Truncellito occorre citare anche i due dioscuri della
Metafisica, Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Ed è attraverso la loro mediazione
(significativamente nelle composizioni del nostro artista non c'è traccia dei crudeli
stravolgimenti surrealisti, ma piuttosto di straniamenti spaesanti), che Truncellito
rivisita le architetture di sapore novecentista, che de Chirico aveva genialmente
prefigurato nelle sue celeberrime Piazze d'Italia.
Le architetture che Muzio, Piacentini e i loro affini e seguaci avevano progettato senza
alcuna deliberata discendenza dai modelli pittorici dechirichiani che le avevano precedute
di un ventennio, ma quale frutto di una koiné di gusto (incentrate sulla semplificazione
marcata dei referenti classici); ovvero le architetture postmoderne che - queste
deliberatamente - mezzo secolo dopo si sarebbero ispirate tanto alle architetture della
Metafisica "dipinta" che a quella "costruita".
Ecco la matrice esplicita di dipinti quali Algida voce, Il bel canto, Interludio.
Né ci si meravigli di così forti e motivati interessi architettonici; essi posseggono
pure una motivazione professionale, essendo Truncellito, oltreché pittore anche
architetto.
Mi sembra, del resto, che questa attitudine architettonica sia leggibile pure in altre
opere e in altri particolari, come certe barriere di montagne che Truncellito inserisce
nei suoi quadri (Medea) con la valenza linguistica propria di una quinta teatrale.
Carlo Fabrizio Carli
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