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Il centro della composizione è sempre un
occhio, avido nel suo moto circolare e attento a catturare ogni corrispondenza di senso
cromatico e formale. E l'occhio, come diadema, o come sole infuocato, o come bulbo di un
drappeggio appena scosso da un passaggio d'aria, ritorna a circoscrivere formalmente le
immagini che Giovanni Truncellito ci consegna dipinte ma non composte in una
distaccata visione. Questi suoi prodotti della fantasia sembrano un residuo di esperienza,
il resoconto di un personale viaggio agli inferi eseguito con il pathos un po' trafelato
di chi ancora è sotto l'effetto di un accaduto. Infatti, Truncellito mescola la sua
sapienza figurativa per allestire un teatro in cui non giocano parvenze di una mitologia
vagamente allusiva e salottiera. Il tratto volutamente elegante non lo interessa tanto
quanto l'urgenza di esprimere un modo di sentire e di guardare. Una simile energia motiva
la visione e spinge l'autore ad una narrazione esistenzialmente condivisa, in cui la fanno
da padroni i sensi, e lo inducono ai limiti di domande imperiose tanto radicali quanto
senza risposta. In questi quadri c'è la eco di una decadenza ripercorsa con i modi di chi
conosce il trucco neopagano della sontuosità esibita ed evocata. E si va oltre, per
ottenere dall'immagine un effetto spaesante, lontano dal puro compiacimento edonistico.
Accade così che un disegno di grazia preraffaellita possa incontrare i passaggi di colore
diretto e acceso, tanto lontani dalla analitica sentimentale e più vicini al favolismo
turbato di un surrealismo alla Savinio o alle mescolanze di genere che solo una
sensibilità educata alla maniera postmoderna è capace di esprimere. In questo senso,
l'arabesco di fondali imprecisati e abbaglianti di luce cosmica, dove cielo e terra si
mescolano in un'inedita spazialità, fascia con evidente contrasto l'emergere di corpi
umani sospesi e al tempo stesso nettamente differenziati: donne con fare di matrone,
Demetre ritagliate sull'abbondanza dei loro seni e corpi maschili vaganti, perduti nel
mistero di una mortale avventura che illustra un ciclo iniziatico. Truncellito è un
pittore di temperamento romantico.
Egli fa prevalere il sentimento sulla
forma e per questo i suoi rossi, i suoi gialli e i suoi blu non circoscrivono i loro
raggio di influenza entro un ambito di gusto decorativo. Emergono invece certe ondulazioni
ricorrenti nella composizione, che non dimentica mai il moto circolare dell'occhio ed
esprime la fissità di uno sguardo, la enunciata parabola di un corpo, la minerale potenza
di una figura umana esalata in simbolo. In tutta evidenza la pittura qui diventa quasi un
pretesto, o meglio la ancella di un regno dei misteri tutto da scoprire. Il tratto
pompeiano di certe figure, così parietali nella loro disposizione aerea - come l'Orfeo, o
l'Algida Voce o l'Idillio ci conduce alla prima in
un'atmosfera cromatica che non ammette corrispondenze o analogie. Siamo isolati in uno
scenario muto in cui la vita sembra riprodurre il suo dramma come in uno specchio: la
dialettica dei sessi e la loro metamorfosi si esibisce in figure di una giovinezza senza
età, attraverso paesaggi oltremondani, in cui Ganimede e Giove in forma di Aquila
ripetono nel motivo della spirale quel principio circolare dello sguardo che individua la
posizione formale ed espressiva di Truncellito. Ma ciò che in fondo produce una
particolare meraviglia è l'effetto di un ambiente in cui ogni risonanza acustica è
improvvisamente scomparsa: lo scenario è muto, eppure vi si svolgono drammi, in una
atmosfera di cataclisma, in luoghi siderali dove è difficile distinguere tra la mano di
Dio e quella del Diavolo. Questo espressionismo della figurazione che soffoca il grido nel
momento stesso in cui lo enuncia, è un tratto stilistico ben delineato che avvalora
l'omaggio al "bel canto"
tradotto da Truncellito in favola di linee e colori. La pittura può imitare la musica
solo nella totale compressione del suono. La sua liricità consiste nella creazione di un
luogo visivo sottratto ad ogni sconfinamento di espressione, dove restano sovrane le
immagini ben aldilà di ogni cedimento al "naturale". Nelle forme noi percepiamo
tutte le necessarie corrispondenze e atonie che risuonano interiormente in musiche
mentali. Molto importante per Truncellito è il colore rosso: colore imperioso,
difficilissimo da modellare, colore della vita che si perde per eccesso e che conduce gli
umani oltre la misura loro consentita dal divino. Il rosso compare come brace di un invaso
cosmico in forma enigmatica, oppure veste la sagoma di Medea senza volto, in
atto di lugubre strazio vitale, e ancora riempie una figura lavica di cipresso sorta da un
incandescente fondale da cui spicca il volo desiderante del Dio rapitore, dal piumaggio di
cobalto. E ancora sono rossi i diademi, i panneggi che accompagnano la positura di figure
archetipiche, di originarie "regge" dove si celebrano ritualità inespresse, e
si esalta l'atmosfera di attesa, la sensazione di un imminente accadere, il principio di
un dramma senza fine. Il motivo del sole, dell'occhio, della spirale concentrica e
includente dello
sguardo si risolve poi in un trionfo del colore rosso al cospetto del quadro "dolce e
calmo" in cui la composta positura di una donna sostiene una metamorfosi di forme,
aria, terra e cielo pronti a dissolvere una figura d'uomo nel loro cangiante elemento.
Qui, forse, si esprime al meglio quella intenzione stilistica che intende rappresentare il
dramma silenzioso della vita, ciò che la parola, e dunque il suono, enuncia solo in
parte. Il pittore Truncellito
rende omaggio sicuramente al "mito" e al "bel canto" con il valore
aggiunto di un'immagine che non si limita ad illustrare o ad alludere, ma entra nel vivo
della creazione traendo forma dalle linee e dal colore. In questo senso il repertorio
scenografico cui Truncellito si richiama, è quasi un freno o un limite all'esuberanza
della sua intenzione espressiva. I corpi architettonici, le figure umane, le parabole
apocalittiche finiscono per misurare il passo ad un estro visivo che punta ad esuberare
nella informalità poetica, al limite
autodistruttiva, il mistero, cui il pittore dedica il tempio votivo della sua
espressività è forse contenuto in quell'indistinto e caotico splendore su cui piange il
destino dell'uomo quando dal magma prova ad emergere nella sua precaria identità. E la
tragedia di Medea, che paga con dolore sommo il prezzo di essere divenuta troppo umana; e
la tragedia dell'amore, dove l'uomo e la donna scontano l'impossibilità di una loro
autentica ricomposizione. Maria
Callas affidava al suono della voce il potere rammemorante di un'eco vicinissima al dramma
segreto della esistenza. E Truncellito con il suo spettacolo dipinto e insonorizzato, ha
raffigurato quel canto oltremondano provando ad immaginare il luogo da cui esso ha tratto
origine. Questa difficile impresa attrae più di ogni altra un temperamento artistico,
perchè è rischiosa e, in un certo senso,
tremenda. Proprio come voleva il poeta Rilke che definiva "tremendo" il
principio di tutto ciò che è, o riguarda, il "bello".
Duccio Trombadori
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